Ricorre quest'anno il decennale della scomparsa di un grande scrittore degli anni Ottanta: Pier Vittorio Tondelli. Non parlerò direttamente, in questo breve intervento, né di lui né della sua opera. L'ho già fatto a lungo in articoli e in due libri e lo farò ancora, credo. Devo darne per scontata la conoscenza. Qui infatti intendo solo esprimere un timore: che la critica su Tondelli dia segni di inguaribile anemia. Mi spiego.
Fino a poco tempo fa di Tondelli avevano parlato solo i quotidiani o i periodici, anche se a volte di ottimo profilo, come quelli di F. Panzeri, A. Tamburini ed altri. Pochi invece gli interventi critici di ampio respiro (un volume monografico della rivista Panta, e un volume su Tondelli e la musica) comunque non unitari nella loro ideazione. Di recente sono invece apparsi tre volumi (Lo spazio emozionale di Roberto Carrnero, Verso casa di Elena Buia e il mio Pier Vittorio Tondelli. Attraversare l'attesa) che intendo presentare l'opera tondelliana nella sua globalità. Sono in fase di elaborazione anche il secondo e il terzo lavoro di Dottorato di ricerca. Fanno la loro comparsa vari saggi in rivista o in studi collettivi sia in Italia sia all'estero e ad un recente convegno londinese sul postmoderno e la letteratura italiana ci si è posti anche la questione circa la sua «classicità», dopo la pubblicazione dell'Opera completa di Tondelli nella collana dei «Classici» di Bompiani a cura di F. Panzeri.
Una scrittura coinvolgente
Ma la scrittura tondelliana ha sempre felicemente sforato il campo della critica accademica o militante che fosse, per il suo particolare dono di stabilire con i suoi lettori un rapporto di immediata empatia. La scrittura tondelliana è evocativa e coinvolgente, crea subito un clima di simpatia, di partecipazione affettiva, fa scattare quel «qualcosa» che crea uno stretto legame tra testo e lettore. Tondelli ha avuto «l'incommensurabile capacità di dare un corpo ed una voce a sentimenti che forse abbiamo dentro tutti, ma dei quali spesso e volentieri non ci fidiamo». Nei suoi libri «si avverte il calore, profondo, coinvolgente, emotivo di uno sguardo [Š] capace di scavare l'interiorità». dell'esistenza. Le espressioni citate sono tratte da un singolare (e nel suo genere prezioso) libro di testimonianze di lettori curato da Enos Rota, dal titolo Caro Pier, in fretta andato esaurito. Uno dei motivi della sintonia autore-lettore della scrittura tondelliana è dunque chiaramente la sua parabola di approfondimento, di cammino verso una zona «interiore», di disperazione e di vita, di abbandono e di attesa, che è il territorio della memoria, del desiderio, di un rapporto personalissimo con la realtà, anche di quella realtà fatta di luci al neon.
L'anemia
Ma, a dieci anni dalla scomparsa di Tondelli siamo a un bivio: o valorizziamo il Tondelli scrittore o di Tondelli resterà solo un santino imbalsamato da icona di una generation. Il bivio, proprio per la statura dello scrittore, a mio giudizio, è e sarà ineliminabile (per fortuna!). Tondelli sarà studiato dalla critica, quanto amato profondamento dai suoi lettori e dai suoi (perché no?) «fans». Questo è bello. Ma alcuni segnali recenti sembrano preoccupanti. Vediamo quali.
Di recente è apparso un articolo in cui si afferma:
«Da più parti si è anche tentato di operare una lettura postuma dell'opera tondelliana sotto l'una o l'altra prospettiva al fine di poterle applicare un'etichetta di appartenenza»
(Matteo B. Bianchi, «L'altra rockstar di Correggio», in Linus n. 2 XXXVII 2001, 64.)
Innocue queste tre righe, no?
No.
L'articolo di Matteo B. Bianchi è solo l'ultimo di una (piccola) serie di interventi simili e dunque non intendo affatto «prendermela» con lui, si capisce: cito il suo intervento solo perché cronologicamente più recente. Il suo articolo, in fondo, non è male. In particolare valorizza la figura di Enos Rota a cui anch'io debbo sincera gratitudine per l'aiuto concreto che mi ha dato nel reperimento di ogni genere di materiale per lo studio dell'opera di Tondelli. Me la prendo però con il genere di considerazioni, in apparenza innocue, che ho appena citato.
Vengono tacciati di essere «etichettatori» coloro che stiracchierebbero Tondelli da una parte e dall'altra. Ovviamente dalla massa di questi biechi recensori, espressione di una «critica ufficiale» che «ha sempre dimostrato scarsa comprensione dello spirito libro tondelliano», zomperebbe fuori il Bianchi. Infatti questa critica «non ha neppure mai ben capito il bisogno sanguigno e sincero di contatto diretto coi giovani che l'autore ha sempre dimostrato» (e che ho scritto a fare io tutto un altro volume [Laboratorio "Under 25". Tondelli e i nuovi narratori italiani] in cui ricostruisco il percorso di questo bisogno sanguigno? Ma forse Bianchi non lo sa). Poi il discorso dell'articolo citato prosegue sulla tomba tondelliana, che è la tomba di una vera «rockstar», dove i giovani non vanno a celebrare lo scrittore, ma l'amico perduto e altri discorsi sentimental-luttuosi del genere.
Chi compie queste operazioni dovrebbe rendersi conto che, se da una parte rivelano una realtà importantissima (il forte rapporto scrittore/lettori), dall'altra rischiano di essere giovanilisticamente demagogiche, se non vagamente sentimentalistiche (non «sentimentali», che sarebbe ben altra cosa). Flatus vocis, comunque, cose dette, ridette e risapute, in ogni caso. Tondelli è un «grande amico», forse per alcuni un «grande fratello» (ahi ahi ahi), ma è anche un grande scrittore e se tra cinquant'anni verrà ricordato, lo sarà soprattutto per questo.
Io rivendico (per me e anche per chi non la pensa come me) il diritto sacrosanto di poter andare a fondo nello studio della sua opera e cogliere, da quella ricchezza, aspetti parziali ma «forti» della sua opera. E non mi si dica che questo sia un costruire monumenti e rilegare Tondelli tra le polveri delle biblioteche (polveri da sparo, semmaiŠ)! Senza quest'operazione Tondelli rischierebbe di essere rilegato nella soffitta della cronaca di costume. Potremmo anche, nella discussione e nella valutazione, non essere d'accordo. Potremmo contestare punti di vista e interpretazioni, ma questo non farà altro che aiutare tutti nella complessa e paziente comprensione di una ricchezza. Non so se mi spiego. Un segno di speranza in questa direzione? Eccolo: cominciano a fioccare le tesi di Laurea e, in genere, a fare questi lavori di valore esplicitamente «accademico», guarda caso, sono proprio giovani fans di Tondelli, che non trovano strano conciliare entusiasmo e interpretazione, passione e critica.
Tirarsi fuori dalla mischia con piglio altero significa porsi fuori dal gruppo di coloro che (poverini loro, vero?) cercano di leggere l'opera tondelliana alla luce di prospettive ermeneutiche. Insomma nessuno di costoro avrebbe in realtà capito nulla. Per difendersi, Bianchi sfodera i globuli bianchi, perdendo però i rossi. Il rischio è l'anemia.
Apologia personale e dei miei colleghi, anche di quelli che non la pensano come me
Ovviamente uno dei famigerati «etichettatori» di Tondelli sarebbe il sottoscritto, colpevole di una «operazione discutibile», quella di rileggere «in chiave esclusivamente religiosa» i romanzi giovanili, «dove agli eccessi sessuali e tossici vengono attribuiti significati simbolici di ricerca spirituale». Cito Bianchi. Vengo assalito dall'improvviso dubbio che l'autore dell'articolo abbia veramente letto tutto il mio volume. Credo di aver lavorato con scrupolo e passione per anni e anni (sette, per la precisione) su testi editi e inediti e su ogni libro della biblioteca personale di Tondelli e su ciascuna delle sue annotazioni a penna e a matita che è presente nei suoi libri. Tralascio i contatti con molti suoi amici, compagni etc. etc. Insomma credo che il mio lavoro su Tondelli, documentato da ciò che ho pubblicato in varie occasioni, sia abbastanza ad ampio raggio. Mi chiedo se sia giusto liquidare così, su due piedi, un lavoro impostato su argomentazioni e documenti sempre puntualmente citati (non dovrei essere io a dirlo, mi si perdoniŠ). Credo che, in ogni caso, farlo forse sarebbe un'operazione più ideologica che critica.
Operazione critica, per intenderci, invece, ad esempio, è quella di Luca Prono (cito la più recente) sull'International Journal of Sexuality and Gender Studies. Egli, in un articolo su Tondelli di 15 pagine, dedica un terzo del testo a discutere (polemicamente) le mie posizioni, ma con argomentazioni e dimostrando di aver letto ciò che ho scritto. Non sono d'accordo con le sue conclusioni, ma le ritengo assolutamente interessanti e importanti. Prono si è gettato nella mischia, insomma. Così non hanno fatto altri.
Senza contare certi ustionanti brani inediti che riporto nel mio libro, la religiosità tondelliana trapela da troppe pagine delle sue opere per essere negata sic et simpliciter o essere considerata come «etichetta». Anzi essa costituisce uno dei possibili approcci ermeneutici all'opera completa. Non vedo perché negare la plausibilità di questa prospettiva, se è così ben documentata (e apprezzata, anche di recente, da lettori speciali come, ad esempio, Carlo Coccioli. Cfr. editoriale di Excelsior - 27 settembre 2000). Tondelli in Camere separate, come dimostro, ha persino copiato delle frasi di un libro sulla preghiera che possedeva (uno dei tantissimi testi religiosi di cui «religiosamente» faccio la lista completa in appendice al mio libro).
Conclusione
Tondelli in Pao Pao ha scritto che la nostra vita è fatta di fili intrigati e sparsi che poi possono unirsi in una armonica frequenza che fa capire e svela il senso. Cito queste espressioni perchè in tal modo io considero l'opera tondelliana. Tanti fili... Il lavoro critico consiste anche nel raccogliere questi fili, seguirne le piste, intuirne le direzioni e verificarle con i testi, con pazienza e senza demagogia. Ciò che bisogna evitare non è lo sforzo di comprensione, ma le classificazioni rigide. Certo, ci sono letture che raccolgono fili. E raccogliere fili non è appiccicare etichette. C'è una differenza e questa differenza va salvata, se non altro per rispettare il lavoro altrui, che se ne condividano o meno i risultati.