AVVENIRE - Mercoledi 19 Dicembre 2001
DIBATTITO Oltre le definizioni di
«cattolico» o «religioso», lo scrittore emiliano
esprimeva un desiderio teologico
Tondelli, il cercatore in attesa
di salvezza
Ho letto con interesse l'articolo di Fulvio Panzeri
apparso su Avvenire il 12 dicembre.
Condivido buona parte del suo contenuto, ma resto perplesso
soprattutto di fronte al titolo: «Tondelli: né monaco
né libertino». Non condivido affatto invece la
perentorietà dell'occhiello, in cui si legge che egli «fu
religioso, ma non "cattolico"».
Comincio allora con l'osservare che uno scrittore non può
essere rinchiuso dentro stereotipi, e certo sarebbe riduttivo non
cogliere in Tondelli la tensione continua tra il «monaco» e
il «libertino». Quando parlo di Tondelli non parlo della
sua persona, ma della sua opera. Si ha spesso semmai l'impressione
che la «postmodernità» tondelliana («C'è
ironia anche nel modo in cui io uso il termine "postmoderno"»,
affermava lo stesso Tondelli) sia soltanto un bluff o un residuo di
provincialismo o un tentativo di essere à la page in un
contesto artistico molto esuberante e frizzante, che egli assaggiava
con gusto e curiosità, ma che riusciva a smontare come un
giocattolo.
Le sue pagine più autentiche, infatti, a mio parere, sono
quelle legate ai territori più interiori e dunque meno
luccicanti. Leo, protagonista di Camere separate,
afferma di sé: «A suo modo, è un monaco».
«Io penso - dice Tondelli intervistato da Michele Trecca - che
chi ama veramente la vita non sia il gaudente, il libertino ma il
monaco perché questi cerca l'assoluto. È un po'
così anche per chi scrive». Insomma, come ha sintetizzato
in una battuta uno dei pochissimi referenti letterari di Tondelli, F.
Wahl: «Era sintonizzato sulle onde di Woodstock ma, allo stesso
tempo, avrebbe potuto diventare un trappista».
Circa la questione se Tondelli sia uno scrittore
«cattolico», è bene precisare meglio un concetto: se
l'aggettivo «cattolico» è costretto a indicare
l'ingresso in un luogo a parte e separato, sarebbe veramente mal
speso. Ma bisogna intendersi sui termini. Dire che Tondelli era
soltanto «religioso» o addirittura religiosamente
«nomade» è, a mio parere, del tutto insoddisfacente.
In effetti la sua ricerca era aperta a 360 gradi, eppure nel suo
colloquio con Coccioli del 1990 Tondelli registra: «Piccole
dispute soprattutto riguardo al cristianesimo che io continuo a
considerare una religione "praticabile" e che Coccioli ha invece
abbandonato da anni prima per l'ebraismo, poi per l'induismo e ora
per il buddhismo».
Affermare che Tondelli era «in ricerca» è dire una
ovvietà. Il punto è che il suo itinerario lo ha portato
ad essere «in attesa» di una salvezza che fosse al di
là della letteratura che, come ho documentato in un mio
articolo ne La Civiltà
Cattolica, alla fine viene avvertita
debole, incapace di salvare e di trasformare l'esistenza in
epos.
Non occorre poi dimenticare le parole di Tondelli registrate dallo
stesso Panzeri dieci anni fa proprio su Avvenire:
«Ritengo il cristianesimo l'unica religione possibile, almeno
per quanto riguarda la mia esperienza. È un bisogno che poi si
tramuta nell'accettare il sacro nell'uomo, nell'umanità, nella
sofferenza, nel dolore». E tutto ciò non ha nulla a che
vedere con riabilitazioni, conversioni improvvise, annessioni
religiose e cose simili. A parte il fatto che anche uno scrittore
esplicitamente anti-cattolico può scrivere pagine
teologicamente significative. Anzi, la vera questione
«religiosa» in letteratura per me sta proprio tutta in
questa rilevanza.
Tondelli nel suo secondo romanzo, Pao
Pao, affermava che la nostra vita
è fatta di fili intrigati e sparsi che poi possono unirsi in
una armonica frequenza che fa capire e svela il senso. In tal modo io
considero l'opera tondelliana: tanti fili... Il lavoro critico
consiste anche nel raccogliere questi fili, seguirne le piste,
intuirne le direzioni e verificarle con i testi, con pazienza. E
raccogliere fili non è appiccicare etichette, ma applicare
batticuore e saggezza nella ricerca di un senso per la vita come per
la scrittura.
Antonio Spadaro