L'opera di

PIER VITTORIO TONDELLI

e i suoi lettori

 

di Antonio Spadaro

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Come mai la scrittura tondelliana «cattura»?

Cosa rende le parole di una pagina irresistibili, quanto altrettanto dolorose? Perché ci sono persone che devono fermarsi a metà volume (parlo di Camere separate) per l'impossibilità emotiva ad andare avanti? Perché la vita del lettore, pur diversissima da quella del narratore e dei personaggi, vibra interiormente fino a identificarsi con la voce narrante o comunque non può restare indifferente? Perché ci si sente coinvolti e «interpretati»? Tondelli più che «rappresentare», come a volte si è detto, interpreta.

Cercherò adesso di offrire quattro possibili risposte.

La scrittura

Dove sono le radici di questa scrittura emotiva e coinvolgente? Il tema della scrittura percorre tutta l'opera di Tondelli, ma le radici risalgono nella memoria affettiva al ricordo della scuola elementare addolcito dal profumo del rossetto della maestra, quando «le parole che si formavano sotto ai suoi occhi di bambino, appena graffiate dal pennino sulla carta, avevano il profumo delle labbra dell'insegnante» (1).

A ventiquattro anni Tondelli poteva ritrovarsi in piena sintonia con uno scrittore coetaneo, Enrico Palandri. Palandri dimostrava, con semplicità, con urgenza che è ancora possibile per un giovane ricercare con le parole una propria identità e affidare alla letteratura la comunicazione della propria esperienza (2).

Insomma «tutto lo interessa e lo riguarda perché ha la scrittura» (3): vi è un rapporto intimo tra narrazione e rapporto con la realtà, un «continuo e implacabile "corpo a corpo" con se stessi» (4). La scrittura non solo qui esprime, ma fa conoscere la vita. Anzi la scrittura segue la vita, la vita che sta ricercando se stessa, la vita che vuole interrogarsi e che così procede lentamente, guardandosi attorno per capire dove si trovi e dove stia andando. Le storie di Tondelli non fanno dimenticare il mondo e la vita: li ricordano e li ricreano.

Primo: il lettore non può restare estraneo a questo «corpo a corpo», ma resta catturato nel romanzo, che diviene specchio della propria interiorità.

 

Letteratura e vita

Sembra proprio sia questo legame estremo tra vita e letteratura ad aver generato la dura critica di Romano Luperini, secondo il quale Tondelli ignorerebbe «la durezza e lo spessore della vera ricerca letteraria» a favore di una imitazione della vita (5). In realtà qui siamo davanti ad una ricerca letteraria «dura», anche fisicamente, e «di spessore».

Perché? Perché Tondelli si concentra in una volontà di confronto con la realtà e con se stesso (6): il lavoro dello scrittore è un modo di filtrare ciò che vive attraverso l'orizzonte narrativo di un probabile romanzo. Vi è una necessità urgente ed indifesa di narrare se stesso, perché a tutto venga dato un senso (7), quello della storia narrata, nella speranza che illumini la storia personale.

La scrittura diventa «strumento ottico», per usare una espressione di Proust, in cui le occasioni della vita nella loro insensata frammentarietà vengono a fuoco e si riannodano. Le esperienze delle vita spesso divengono tante lastre fotografiche, che rimangono inutili perché non riusciamo a svilupparle (8). Tondelli invece, nel suo laboratorio fotografico, riesce a cogliere i fili intrigati e sparsi, che vengono riaccordati così che la vita schiuda il suo senso (9).

L'esperienza a cui si cerca di dare un senso è quella di chi vive in una situazione di separazione e di abbandono. Si può dire che per entrare nella scrittura tondelliana sia necessario aver abitato almeno una volta nella vita in una situazione di «camere separate», dove il desiderio di incontro e di distanza coabitano. Questa però è esperienza umana comune.

Secondo: nell'esistenza che Tondelli narra è insita la "non vergogna" del sentimento e della verità emozionale. La sua operaè così capace di essere vicina a molti e capace di coinvolgere e consolare per quella che Franco definisce «compassione biblica e struggente». Coglie un senso ai fili intrigati e sparsi della separazione e dell'abbandono, che ciscuno in un modo o nell'altro, vive.

 

Le maschere e la pelle

Leggere le pagine di Tondelli allora può anche diventare imbarazzante, perché significa «addentrarsi nella sua pelle», si ha l'impressone di una nudità estrema e disarmata. Non è sufficiente dire allora che in Camere separate amore, nostalgia, dolore, ansia di assoluto siano tutte cose autentiche, ma «nello stesso tempo appartengono a una delle tante "maschere" del loro autore, entro un vertiginoso gioco mimetico abbastanza esplicito»(10)... quasi un Tondelli "uno, nessuno, centomila...

E' vero, nel «primo» Tondelli il volto dei personaggi non coincide con quello dell'autore e le storie rappresentate sono «storie di altri». Ma in Camere separate c'è tanta sincerità esistenziale. Mario Fortunato ha messo in evidenza giustamente come «la maschera è giunta ad aderire sul volto del suo autore al punto di non essere più maschera ma pelle e carne viva» (11). Tuttavia l'aderire della maschera al volto, non significa necessariamente, come Fortunato ha asserito, la dissoluzione del romanzo nella autobiografia, nell'urgenza bruciante della realtà, lasciando al lettore solo angoscia (12).

A mio giudizio in Camere separate non è l'angoscia a vincere, ma l'anima. Non è la maschera ad aderire al volto: in realtà è la maschera fatta di paure, travestimenti, finzioni, a venir meno, svelando una profonda paura della morte che diventa motivo di scrittura intensa, lirica, partecipata, sincera.

Ha scritto bene una recentissima guida inglese alla recente lettertura italiana: Tondelli «ha lavorato all'amore per la sincerità, che differenzia la vera scrittura dai surrogati intimistici». E' proprio perché la maschera viene meno, che si apre lo spazio alla sincerità e quindi alla fragilità, la quale appare in tutta la propria debolezza. Questa fragilità consiste in quella tenerezza e debolezza che è propria della vita: «Perché [...] ciò che è tenero e debole è servo della vita» (13)

Terzo: l'opera di Tondelli ci coinvolge perché ci svela un volto umano, con sincerità, mostrando un anima alle prese con un senso del limite, dell'angoscia e dell'abbandono.

 

L'ossessione di assoluto e il desiderio di salvezza

Vivere la propria imbarazzante fragilità e finitezza, la propria «carnalità», può significare tuttavia «ossessione di assoluto», come ha scritto Geno Pampaloni, cifra del bisogno di assoluto (14):

«Cercherai Dio per tutta la vita e questo basterà a salvarti. Non smettere mai di cercare, ma sappi che, ovunque tu vada, ti guiderà sempre la sua Grazia» (15)

e ancora:

«Ho sempre cercato 'tutto' nella vita: la verità e l'assoluto. Ho sempre detestato la gente soddisfatta» (16).

François Wahl ha scritto di Tondelli: «era sintonizzato sulle onde di Woodstock ma, allo stesso tempo, avrebbe potuto diventare un trappista» (17). Tondelli non è mai un monaco «fuori» dal mondo, passa tra le luci psichedeliche, tuttavia con esse non coincide, in esse non si esaurisce, con esse non si spegne. Tondelli dunque non è mai stato un paladino della superficialità e dell'effimero (come spesso oggi si vuol far credere), ma l'interprete di una dialettica tra la libertà individuale fino alle pastoie dell'arbitrio da una parte e un desiderio dell' assoluto dall'altra.

Una immagine: in Camere separate viene illustrato un concerto (18), tuttavia qui Leo «si tiene un po' ai margini della folla», «si distacca dalla musica»; la frenesia della gente è ormai solo ostacolo in un «frastuono violento, angoscioso». Proprio superando la «barriera del frastuono» avviene una separazione e una elezione: l'incontro con Thomas.

In Camere separate sembra di cogliere un «di più» di coscienza nei confronti della vita, quasi una illuminazione profonda che getta luce sul desiderio dell'uomo di fiducia, di speranza e di amore. Questo anelito, come ha notato in Canti ultimi D. M. Turoldo (nel volume di Rota citato due volte), vive tra Qohelet e il Cantico dei Cantici, tra la coscienza della vanità di tutte le cose e l'amore (19).

La «qualità» dell'uomo tondelliano è affermata dal bisogno di risalire dal «mistero di "separazione"» (20) e di abbandono. A questo proposito Tondelli nell'88 come con l'intensità di una intuizione spirituale scrisse nella prefazione alle poesie del correggese Agostino Gandolfi che proprio in quell'Altrove, che è lo spazio del dolore e dell'abbandono, si cela Dio (21). Sono parole che hanno un peso enorme, quasi una chiave interpretativa della propria parabola di vita e di narrazione. E infatti Leo in Camere separate, scritto in quegli anni, recede dalla «cancellazione dell'assoluto» proprio quando si trova immerso nel suo lutto «profondo e sacro» (22).

Quarto: il lettore viene coinvolto nella malinconia, ma anche nel desiderio e nella speranza.

 

Conclusione

La scrittura tondelliana è evocativa e coinvolgente, crea subito un clima di simpatia, di partecipazione affettiva, fa scattare quel «qualcosa» che crea uno stretto legame tra testo e lettore. Tondelli, scrive Franco, «ha avuto l'incommensurabile capacità di dare un corpo ed una voce a sentimenti che forse abbiamo dentro tutti, ma dei quali spesso e volentieri non ci fidiamo» come la fiducia. Nino scrive: nei suoi libri «si avverte il calore, profondo, coinvolgente, emotivo di uno sguardo. Lo «sguardo» di Tondelli era capace di scavare l'interiorità della tua esistenza». Angelo parla di «scavarsi dentro». Uno dei motivi della sintonia autore-lettore è dunque chiaramente la sua parabola di approfondimento, di cammino verso una zona interiore, di disperazione e di vita, di abbandono e di attesa, che è il territorio della memoria, del desiderio, del «ritorno» a se stessi. Non attraverso una fuga dal mondo, ma attraverso la propria storia individuale e attraverso una profonda simpatia e gusto per la vita vissuta con pienezza.

 

NOTE

1. Camere separate , 50.

2. Weekend, 214-215.

3. Biglietti, 17.

4. M. TRECCA, Parola d'autore. la narrativa italiana contemporanea nel racconto dei protagonisti, Lecce, Argo, 1995, 25.

5. R. LUPERINI, «Dalla vita al libro e ritorno», in Quotidiano di Lecce del 9 gennaio 1983.

6. Cfr. G. VAN STRATEN, «Noi, scrittori contaminati dalla realtà», in l'Unità del 12 aprile 1995.

7. F. PANZERI - G. PICONE, Tondelli. Il mestiere di scrittore. Una conversazione-autobiografia, Ancona, Transeuropa, 1994, 37.

8. Cfr. M. PROUST, Alla ricerca del tempo perduto. IV. Il tempo ritrovato, trad. G. Raboni, Milano, Mondadori, 1993, 577-578.

9. Cfr. Pao, 157.

10. F. LA PORTA, La nuova narrativa italiana. Travestimenti e stii di fine secolo, Torino, Bollati Boringhieri, 1995, 48.

11. M. FORTUNATO, «Le parole in maschera», in Panta 9 (1992) 121.

12. Ivi, 122.

13. Biglietti, 49.

14. Abbandono, 130.

15. Rimini, 224. Viene in mente la frase che Morselli scrisse nel suo diario tre mesi prima di suicidarsi: «Dio è come il mare, sorregge chi gli si abbandona».

16. Rimini, 204.

17. F. WAHL, «PVTTPV», in Panta 9 (1992) 253.

18. Camere, p 23-29.

19. Cfr. D. M. TUROLDO, Canti ultimi, Milano, Garzanti, 1991, 187.

20. Ivi, 11.

21. Cfr. Prefazione di Tondelli a A. GANDOLFI, L'Enigma, cit., 7.

22. Camere, 52-53. Corsivo mio.