Nel novembre del 1985 su Linus Tondelli in poche righe traccia la sua biografia e nota la sua ricerca di contatto con i suoi coetanei, iscrivendosi all'Università di Bologna, trovandoli però «solo per rendersi conto che la propria vita si sare bbe giocata in solitudine e avrebbe potuto unirsi agli altri unicamente attraverso l'eserizio solitario e distanziato di una pratica vecchia quanto il mondo: la scrittura. Avrebbe capito che non sarebbe mai stato un protagonista, ma semplicemente un osservatore»[1]
Domina l'osservazione: «Anch'io forse non so pregare se non nell'osservare, con pietà, il mondo, gli uomini» [2]. La cosa più difficile è stabilire un contatto tra i mondi differenti e separati. E in questo suo sentirsi distante, immerso e vivente nei problemi, «ma sempre da una posizione allontanata, come un pulsante cuore separato, lui trovò l'osservazione e la scrittura»[3]
Questo sogno di avventura si declina anche nel sogno della grande città intesa come luogo anonimo in cui trovare sicurezza, proprio perché certo di passare inosservato, di non essere al centro di attenzioni e sguardi incongrui. Può stare chiuso in una stanza a scrivere, sentendo però muoversi al di fuori il fermento della città. Nel brulicare della grande città si percepisce un clima di libera discrezionalità, di volubilità, varietà, vita effimera, una «mescolanza simultanea di rumori, colori e ritmi spirituali» che produce l'effetto di una febbre creativa[4]
Leo, protagonista di Camere separate cerca casa a Londra. Visita alcuni appartamenti per Soho: per prezzi che equivalgono a uno stipendio medio gli vengono mostrate stanze fatiscenti e con un w.c. inferiore al metro quadratoÖcome sugli aerei, si commenta, e «l'unica differenza è che da qui non si va da nessuna parte»[5]. Per Londra cammina in silenzio, «senza una meta precisa»[6]o vive appartato o vive immergendosi nell'anonimato della folla, da cui resta separato[7]. Questa separazione è quella che a tratti è cara a Tondelli, quella che garantisce spazi di anonimato, trovati, ad esempio a Milano. Nella grande città «un po' anonima trovava sicurezza, proprio perché certo di passare inosservato, di non essere al centro di attenzioni e sguardi incongrui»[8]. Lo stesso desiderio è vissuto lungo i portici del paese di origine, per i quali preferisce «passeggiare di notte, quando sa che non incontrerà nessuno, solamente qualche amico, in birreria, di ritorno da una balera»[9]
Nasce una dialettica tra «il
volere stare separati e poi il desiderio, l'aver bisogno di sentire
la vita pulsare, di percepirne i rumori, la sua
carne»[10], che si risolve nella piacevolezza dello «stare
chiuso in una stanza a scrivere, sentendo però muoversi al di
fuori il brulicare, il
fermentoÖ»[11]: «sa che accanto a lui, anche se così
abissalmente distante da quello che sta provando, gli altri
continuano i riti della
vita»[12]. In modo contrario, ma equivalente l'anonimato
può essere raggiunto passando
«pomeriggi interi alle slot
machine elettroniche o nelle sale-gioco aggrappato a un videogame.
Improvvisamente, mentre è in un museo, mentre sta cenando,
avverte l'impulso irrefrenabile di tuffarsi nel rumore tintinnante,
galattico, di una sala giochi dove i flipper parlano come robot
invitando al gioco e i videogames emettono motivi minimali, come
eseguti da un organo interstellare e le slot riproducono
incessantemente il fragore metallico di una cascata di monete. Quando
non gioca osserva»[13]
Il silenzio della stanza e del museo o il fermento della sala-gioco in fondo sono rapportati entrambe a quel territorio di anonimato dove accade solo di osservare o di giocare senza essere conociuti e senza «rivolgere parola a nessuno»[14]
Così Leo «celebra come
liturgia la vita stessa»[15] e la sua devozione consiste spesso in un
atteggiamento di osservazione, contemplazione e ascolto delle cose e
degli uomini, «un osservare e contemplare, che ha a che fare con
il suo stesso modo di
essere»[16]. Così come accadeva a Tondelli, ad esempio,
nel tempo trascorso a Firenze, che &endash;scrive egli stesso&endash;
«mi dava una straordinaria capacità di osservazione.
Sentivo il mio sguardo più teso e la mia immaginazione
più forte»[17]. Così anche come accadeva al protagonista di
Pier a
Gennaio
«Il suo passeggiare per le strade di Bologna, il suo sguardo altro non fanno che accarezzare desideranti le piante, gli angoli, i palazzi, i giardini, come se fossero essi stessi la sostanza verbale di una preghiera, di qualcosa che è troppo forte da tenersi dentro ed esplode nel suo sguardo»[18]
Questo è dunque per ill
Tondelli-Leo preghiera: egli avverte «la presenza del sacro come
qualcosa di tangibile nella realtà, qualcosa su cui il suo
sguardo si posa con
devozione»[19]