DIBATTITI
Parla il religioso che su ha affrontato i rapporti tra fede e scrittori non credenti
Il numero 3491, dicembre '95, di Civiltà Cattolica presenta un saggio intitolato A che cosa serve la letteratura. L'ha scritto un ventinovenne di Messina, Antonio Spadaro, che sta per prendere gli ordini sacerdotali nelle file della Compagnia di Gesù . In attesa dell'ordinazione, Spadaro ha visto il proprio nome al centro di una polemica che non gli ha fatto piacere. Causa scatenante un altro suo articolo pubblicato in ottobre da Civiltà Cattolica sull'opera di Pier Vittorio Tondelli. Un argome nto ghiotto per sollevare un po' di polvere di scandalo. Quando uscì l'opera d'esordio di Tondelli nel 1980, Altri libertini - omosessualità, droga e sballi di vario genere nella Bologna più disperata che creativa della fine dei Settanta -, la magist ratura intervenne definendo il libro «un'opera luridamente blasfema» che «stimola violentemente i lettori alla depravazione e al disprezzo delle religioni». E benché il ragazzo di Correggio fosse uno dei pochissimi, se non il solo, nel mondo letterar io italiano a compiere un'opera di autentico «volontariato» sul lavoro degli altri - cercando, curando, portando alla luce giovani scrittori sconosciuti - e nel frattempo avesse cambiato temi, linguaggio e stile, quando morì a 36 anni alla fine del ' 91 aveva conservato - anche questo blasone attualmente abbastanza raro - un'immagine di scrittore maledetto postmoderno. Perché allora un (quasi) gesuita si occupava di lui al punto non solo di scrivere un saggio, ma anche di annunciare un libro? Int eresse letterario o indebito tentativo di annessione, giocando pure la carta di una conversione sul letto di morte? Le stigmatizzazioni da parte di laici e cattolici non sono mancate, anche perché nel frattempo apparivano altri segnali inquietanti. A parte l'apertura delle pagine dell'Avvenire a molti scrittori non cattolici e comunque non dichiaratamente cristiani, accanto al caso Tondelli si è allineato il caso Dacia Maraini: sulla rivista Letture, edita dalle edizioni San Paolo, la scrittri ce della guerra tra i sessi, dell'impegno anti-censura, della lotta per l'aborto viene collocata a livello di scrittori come De Roberto e Tomasi di Lampedusa «per il suo impegno a capire il senso della vita e il mistero del male». Equivoci, come hann o commentato i lettori laici di Tondelli e Maraini o, peggio, «interessi più di opportunismo che di chiarezza morale», secondo le preoccupazioni di parte religiosa? Spadaro per risposta alle polemiche ha ritenuto sufficiente pubblicare il saggio gi à citato sull'utilità della letteratura. «L'esperienza letteraria - scrive - pone l'interrogativo circa la qualità del valore umano implicato in essa», non è uno strumento la cui utilità - magari a fini edificanti - è immediatamente verificabile e, c ome un esercizio spirituale, mette in moto «la vita a livello di significato profondo dell'esistere». Ma gli interrogativi sulla religiosità o cristianità di un'opera letteraria in un Paese che ha conosciuto bene l'Indice dei libri proibiti, non po ssono esaurirsi ribadendo la specificità della letteratura, o la sua vocazione a rivelare il senso profondo della vita, quale che sia la superficie della trama inseguita. Religiosità e religione non sono la stessa cosa, tantomeno ricerca o senso dell 'assoluto e cristianesimo, a meno di non svuotare quest'ultimo di tutto il suo peso e valore storico. Ed è lecito chiamare narratori cristiani, «che magari non sanno neppure di esserlo», autori come Calvino, Tamaro, Capriolo, Lodoli e altri perché «v edono Cristo dove c'è l'uomo che soffre o che è innocentemente lieto», come ha fatto Giuseppe Bonura sull'Avvenire in un articolo del febbraio '95? Propongo la questione allo stesso Antonio Spadaro che, se si è imbattuto casualmente nell'opera di T ondelli mentre in veste di professore al liceo cattolico «Massimo» di Roma tentava di interessare i suoi alunni al tema del viaggio, è intenzionato a non abbandonare il terreno della ricerca letteraria, ferma restando la sua ottica di lettore «religi oso» nel senso proprio e stretto del termine. «E' necessario - premette - aver subito chiaro che nell'ottica della fede la rivelazione cristiana non è una rivelazione, di "verità", ma è in primo luogo una rivelazione personale di Dio in tutta la real tà. E il Signore attraverso il suo Spirito che agisce nella storia, si inserisce nella realtà umana. Occorre allora avere un profondo rispetto per i modi in cui Dio è già all'opera nel mondo, anche nel mondo della cultura e dell'arte. Per questo mi s embra importante occuparsi di discipline e autori che, per quanto a volte non abbiano alcuna relazione esplicita con una prospettiva cristiana (ma questo non è il caso di Tondelli), sono fondamentali per cogliere quell'enorme complessità della vita c he trova in Cristo riconciliazione». La storia, però, sedimenta e crea mentalità: per un laico non è così pacifico e indolore ritrovare autori messi all'indice sulle riviste cattoliche. «E assurdo e inconcludente - è la risposta - voler "mettere su gli altari", "riabilitare", come è stato detto, autori lontani dalla Chiesa. Nessuno intende vedere bianco ciò che è nero. Ciò però non toglie che compito del critico, anche cattolico, non è quello del giudice intollerante, ma quello di porsi di fron te al testo con la capacità di lasciarsi interrogare, cogliendo se e dove l'autore giunge a mettere in gioco se stesso». Ma qual è allora una possibile prospettiva di lettura religiosa di autori non religiosi? Non c'è oggi il rischio, nelle pieghe di un non sempre meditato ritorno al sacro, di forzare il naturale e vago sentimento religioso degli esseri umani nell'ambito del religioso vero e proprio? «Distinguerei le questioni. Una cosa è la religiosità, un'altra la confessione religiosa. Di venire cristiani comporta una "conversione" e una essenziale fede in Dio Padre e nel Signore Gesù Cristo, non è un sentimento religioso che sorge nell'uomo nel suo desiderio di mettersi in contatto con Dio». E allora quale può essere, al di là del piacere del testo e dell'interesse conoscitivo, una prospettiva di lettura cristiana di autori non cristiani, rifiutata l'ottica del giudizio intollerante e quella simmetrica della riabilitazione? «I temi della frontiera, della soglia, dell'attesa, d ell'abbandono, del cammino costituiscono secondo me un intenso vocabolario teologico presente spesso in autori non esplicitamente cristiani. Di fronte a questi temi mi chiedo spesso se il credente che legge debba parlare sempre di negazione atea o de bba invece riconoscere (in Kafka, per esempio, o in Gide o in Henry James) una religiosità che parla dell'attesa in termini di perdita. Bisogna leggere nei silenzi, negli scarti, nelle fessure della realtà, andando se è il caso anche al di là della b estemmia, la quale a volte - e Giobbe ce lo insegna - può essere un accorato appello interiore». C'è infine un altro interrogativo che riletture come quelle di Tondelli e Maraini suscitano: sembra che nella cultura della trasgressione di autori un tempo dannati si voglia vedere una sorta di teologia negativa agìta, buttata all'esterno, piuttosto che il frutto di una sensibilità personale o un riflesso della storia. Ma non è questa davvero una forzatura? «Tutt'altro. Dalle rovine della cultura della trasgressione rimane in piedi il desiderio di risalire dalla sensazione di vuoto e di assenza, che tende a divenire lo spazio dell'attesa. Tondelli lo disse esplicitamente nell'88, scrivendo che proprio in quell'Altrove, che è lo spazio del dol ore e dell'abbandono, si cela Dio. Non mi sembra una forzatura, per esempio, interpretare queste parole come una chiave della sua parabola di vita e di narrazione».