PIER VITTORIO TONDELLI

e LA MUSICA

 

di Antonio Spadaro

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Tondelli e la musica: quale rapporto?

In una intervista dell' '85 su Fare Musica Tondelli dichiarò di scrivere sempre con la radio accesa: «sento che per me scrivere è come cantare, è il mio modo di far sentire la mia voce e di cantare». Un anno fa è uscito un volume dal titolo Tondelli e la musica. Colonne sonore per gli anni ottanta. Si dirà: Tondelli è uno scrittore, non un muscista. E' vero, ma la forza della scrittura tondelliana ha il potere di impastare gli stili e i generi più diversi: fumetto, sport, musica e video. Ricordiamo la sua assidua collaborazione a Rockstar in una rubrica tutta sua, «Cultur Club». La musica entra a far parte piena e necessaria della materia stessa della narrazione. Sul piano musicale avvengono gli incontri tra i diversi linguaggi: la pagina diventa materiale sonoro. E' stato detto che le storie più che scritte fossero state incise. In una versione di Dinner Party il personaggio Didi, che è figura del suo autore, scrive: «Io faccio musica con le mie parole. Per questo, le cerco. Le cerco, ma chi ti ascolta per una parola? Chi è capace di vivere per il suono di una parola?».

 

Sound e racconto: come si legano queste due realtà?

Già nell'80 Tondelli esprimeva la convinzione che il sound del linguaggio parlato, l'emozione del linguaggio parlato fosse l'unica strada che va dentro al racconto: il testo diventa una questione di ritmo e i personaggi sono intensità emotive, sono «cortocircuiti di sound». Così Tondelli ha riassunto la propria opera dal punto di vista musicale: «Rimini, nelle intenzioni, voleva essere un'orchestrazione sinfonica, in cui si trovano gli 'adagi', i 'lenti', i 'prestissimi' e un grande finale. E' tutto un po' variato sui tempi e sull'accellerazione improvvisa, come in una sinfonia, in cui c'è un tema che però viene di volta in volta giocato diversamente. Anche Pao Pao è molto musicale: l'ho pensato come una cantata di dodici mesi, una toccata e fuga. In Camere separate la narrazione è conclusa in ogni movimento, un po' come nella musica minimale o ambientale. C'è da sempre la stessa nota, lo stesso gruppo di note, che si riproducono quasi in circolo. Sembra sempre che non cambi niente, invece è un modo per scavare...Del resto sento la musica molto vicina alla scrittura»

 

Ci sono modelli a cui Tondelli si ispira?

Jack Kerouac innanzitutto con le sue lunghe pagine senza punteggiatura, ricordi del passato mischiati a una narrazione del presente. Brani di canzoni rock, motivi musicali, cadenze dialettali. Kerouac ha avvicinato la pagina scritta ai ritmi della musica urbana e metropolitana, scrivendo come se componesse musica ed ecco la sua vera lezione che leggo da L'Abbandono, una raccolta di racconti degli anni '80: «Sentirsi alla macchina da scrivere come alla tastiera di un pianoforte, suanando il jazz. Il ritmo della frase - ora sincopato, ora disteso- riproduce e ricerca sulla pagina una andamento musicale. Il fraseggio degli strumenti che dialogano fra loro in una jam session diventa il rincorrersi sulla pagina di motivi narrativi che si inseguono e si intrecciano, dando vita a una vera e propria partitura musicale».

Inoltre Tondelli è vicino agli echi letterari di un guppo come gli Smiths, che risuonano di Joyce, Dylan Thomas, Sartre, Musil, Genet. Sentiva inoltre profonda passione per la poesia di Bob Dylan, Joan Baez, dei Beatles, di Jim Morrison e Patty Smith. E tra gli italiani De Gregori, Venditti, Guccini, Dalla, Lolli, Bertoli, De Andrè...Il bisogno assoluto e struggente di poesia negli anni della prima giovinezza, è legato a parole e strofe di canzoni come ballate pop, testi psichedelici, neofuturisti, intimisti, sentimentali, onirici, politici, ironici, demenziali...., testi dei «poeti rock» che si differenziano dai "poeti ufficiali", secondo Tondelli, perché possiedono un'anima eccentricamente viva e pulsante. Questi poeti a loro modo «maledetti» sono eredi del poeta romantico capace di vivere fino in fondo il conflitto tra arte e vita, fra quotidianità e immaginazione.

 

Scrivere allora è in certo senso fare musica?

Sì. Nel romanzo Rimini la macchina da scrivere «carrella» velocemente e le dita battono i tasti con velocità e ritmo: tasti, spaziatore, carrello, tasti, tasti, interlinea, spaziatore. Così nasce la musica. Scrivere è un modo di fare musica, che è poi esprimere quell'anelito, quell'ansia di assoluto che è la caratteristica di ogni arte, confessava Tondelli in una intervista. La struttura del romanzo Camere separate è scandita non da tre «capitoli», ma da tre «movimenti» che compongono il canto di una persona sola che riflette sul passato e si proietta nel futuro. E' suggestivo leggere questi «movimenti» ascoltando la musica ambientale di Brian Eno, una musica molto congeniale al Tondelli trentenne: l'iniziale immagine dell'aereo che atterra sul filo dei ricordi di Leo andrebbe, ad esempio, accompagnata da Music for airports, in cui un gruppetto di note si susseguono per oltre sedici minuti in una ripetizione che scava e crea uno spazio interiore, che è lo spazio della memoria del sentimento. E' solo un esempio di come vi sia una osmosi tra la musica e le sonorità della vita che entrano nelle pagine tondelliane, dando corpo ad uno spartito invisibile, che sostanzia la stile della narrazione. Il ritmo è dunque importante per cogliere la dinamica, la tensione intima della interiorità di Tondelli: le sue pagine si leggono con gli orecchi.

 

Tondelli con il suo volume Un weekend postmoderno compie un viaggio negli anni Ottanta...

Sì, con questo volume Tondelli ha compiuto un viaggio nella provincia italiana, fra i suoi gruppi teatrali, i film makers, i videoartisti, le garage band, i fumettari, i pubblicitari, la fauna trend in una esplorazione di frammenti diversissimi di vita generzionale. Lo sguardo è prensile e totale e dà degli anni '80, in forma di rap torrenziale, una filologia complessa, articolata, ma anche divertita e leggera, sempre filtrata e attraversata dallo sguardo di un io narrante «con il telecomando sempre a portata di mano».

 

E le mode, gli stili di quegli anni?

Il popolo post-moderno ritratto da Tondelli ama la video-music, che, lontana dai coinvolgimenti collettivi della musica degli anni '60, è anche un un tentativo di identità immediata. Tra gli anni '70 e i primi anni '80 il punk con i suoi modelli comportamentali dissacranti e provocatori aveva ceduto il posto al new romantic, con il suo corredo di accessori visivi, atteggiamenti neo-dandy, look stravaganti ed esotismo kitsch. Tondelli ricorda, tra l'altro il concerto dei Police a Reggio Emilia nell'80, dove compaiono ragazzi ciondolanti un po' mod con giacchettina nera e colletto arrotondato, cravattino a stilo e occhiali da sole. Ma tutto questo in Tondelli è già superato.

 

In che senso è «superato»?

La verità che Tondelli coglie è che la moda diviene l'espressione di un intenso bisogno di rappresentarsi e comunicare non più attraverso la parola e gli slogan, ma attraverso stili e aggettivi di abbigliamento e trucco. E' una miscela di creatività ma anche di cose già viste. Lo sguardo non è puramente scettico e distruttivo: c'è la coscienza di uno sguardo che cerca con leggerezza divertita, ma anche con serietà elegante e riflessiva, una «crescita» pienamente umana. Questa sua personale ricerca interiore non è ripiegata nell'intimismo, ma procede in una continua peregrinazione attraverso tutti i luoghi della cronaca, del divertimento. Il pellegrinaggio mistico, insomma, assume la misura più prosaica del «weekend».

 

Qual è il posto dedicato alla musica in queste pagine?

La musica domina le pagine dell'archivio tondelliano degli anni '80: non si «ascolta» la musica, ma la «abita». E' bella l'immagine che Tondelli usa nella sua postfazione a Stagioni del rock demenziale di Roberto "Freak" Antoni: il suono si diffonde come un contagio dalle cantine fino ai confini delle megalopoli. Le cantine sono il luogo ideale per fare musica. Tondeli detestava le discoteche colossali della «pattumaglia giovanile», dove non si riesce a comunicare. Così come amava tutto il significato «impegnato» della musica che deve essere una tensione ideale di cambiamento della società.

 

Tondelli dunque amava il rock impegnato?

Sì, Tondelli riconosce che, pur essendo legato profondamente alla cultura americana e alla musica pop e rock, si sente profondamente emiliano ed è legato alla geografica muicale provinciale e marginale, quella dei locali autogestiti, quasi dei veri e propri «circoli culturali» tra un bicchiere di Chimay e un bicchiere di Guinness. Così il suo sguardo sul rock è ampio e, tra le esperienze locali dell'appennino tosco-emiliano include anche il cosiddetto «punk filosovietico» dei CCCP-Fedeli alla linea e il loro desiderio di uscire dalla cultura del frammento e dell'effimero, rifugiandosi sotto il Patto di Varsavia. E così anche Vasco Rossi, i Nomadi, l'Equipe 84, Guccini, Dalla, Lolli, gli Skiantos, Ligabue, i Ladri di biciclette. Tutte espressioni che portano con sè la concretezza di una terra, una «carnalità», come Tondelli la definiva: la carnalità del cielo, del fiume, di una terra insomma. Questa è la realtà: Tondelli descrive e canta un postmoderno di luci psichedeliche con il quale non coincide. E con questa «carnalità» desiderava i contenuti, le proposte, un'arte, come ha scritto, «che ci riveli il buio e le nostre zone di paura» e, in sostanza, la vita. Quasi un ideale interiore, monastico.

 

Si può parlare di Tondelli «monaco»?

Per inciso occorre dire che Tondelli era sensibile al fascino della musica sacra. Ma il monachesimo di Tondelli ha soprattutto un altro significato. François Wahl ha scritto che Tondelli era sintonizzato sulle onde di Woodstock ma, allo stesso tempo, avrebbe potuto diventare un trappista. Tondelli non è mai un monaco «fuori» dal mondo, ma «attraverso» il mondo. Egli non supera i miti postmoderni scavalcandoli, ma li attraversa tutti, li vive, li fa propri. Passa tra le luci psichedeliche ma con esse non coincide, in esse non si esaurisce, con esse non si spegne. La ricerca interiore non è ripiegata nell'intimismo ma procede nel cuore dei media impazziti, in una continua peregrinazione attraverso tutti i luoghi della cronaca, del divertimento, della chiacchiera, del frastuono.

 

Ma verso dove?

In Camere separate viene illustrato un concerto, Leo «si tiene un po' ai margini della folla», «si distacca dalla musica»; la frenesia della gente è ormai solo ostacolo in un «frastuono violento, angoscioso». Proprio nonostante e attraverso il frastuono avviene una separazione e una elezione: l'incontro con la persona forse più importante della sua vita, Thomas. Sì, c'è una zona di silenzio necessaria, anche se accompagnata dalle note del suo inseparabile Morrissey: «Oh, I'm so glad to grow older, to move away from those younger years, now I'm in love for the first time».

 

C'è una immagine che può riassumere tutto?

Sì, una immagine c'è. In Rimini Alberto, sassofonista, raggiunge il lungomare e comincia a suonare il sax mentre le onde scure si riversavano sulla costa sabbiosa. Alberto suona con passione, con rabbia e con amore e il suo canto si allarga alla spiaggia, supera le cabine e si distende sul viale del lungomare fino a raggiungere il molo, dove si infrangono con violenza spumeggiante le onde della burrasca, e da lì dappertutto. Conclude Tondelli, echeggiando il terribile e visionario Artur Rimbaud: «E il suono del sax, la sua musica, fu come il rauco grido di dolore delle cose e degi uomini colti in quel momento bagnato, all'alba, dopo il diluvio.