Appunti per l’incontro

Un’acuta sensazione di attesa. Introduzione su Raymond Carter

 

Roma, Galleria Ta Matete, 16 giugno 2005

 

Raymond Carver è un grande scrittore

Qualcuno l’ha definito un «classico del Novecento».

Le sue opere sono state tradotte in oltre venti lingue.

Le ragioni del suo successo non sono quelle dei best-seller di stagione, ma vivono nello spazio delle tensioni fondamentali di una vita umana, fatta di «caldo sangue e nervi», come scriveva Cechov, uno tra gli scrittori più amati da Carver.

Carver aveva «una gran voglia di scrivere, di scrivere qualsiasi cosa – narrativa, certo, ma anche poesia, drammi, sceneggiature, articoli per riviste […] e perfino pezzi per il giornale locale – qualsiasi cosa che comportasse mettere insieme delle parole per fare qualcosa di coerente e che potesse interessare qualcun altro […]».

 

Nel 1968 Carver pubblicò il suo primo libro, una raccolta di poesie dal titolo Near Klamath (Presso Klamath). Nel 1971 il periodico Esquire, grazie a Gordon Lish, il fiction editor della rivista, gli aveva pubblicato il racconto «Neighbors» (Vicini). Nel 1976 la raccolta Will You Please Be Quiet, Please? (Vuoi star zitta, per favore?).

 

Il mio rapporto con la poesia di Carver

 

A volte verrebbe da dire alla fine della lettura di una poesia: tutto qui? Quando ci si rende conto che effettivamente è tutto lì, si rilegge il testo e si apprezza che quell’atomo di vita è veramente, in genere, ben capace di generare poesia.

Cfr One more, Il nuovo sentiero per la cascata (133)

 

1. Narrativa come rappresentazione

Certo nei primi anni Settanta, quando l’attenzione era rivolta a un certo tipo di romanzo sperimentale o di meta-romanzo, caratterizzato da una prosa molto intrecciata, innovativa, surreale. Carver invece è molto interessato all’arte che crede nella rappresentazione, che dice qualcosa del mondo, che cioè mostra di possedere un referente e un fondamento nel reale, e non lo è invece all’arte astratta. L’arte deve tornare alle cose che contano, «le cose che sono vicine al cuore dello scrittore, le cose che ci muovono interiormente».

 

Non solo: c’è una sorta di assoluto morale, legato al significato delle azioni dei personaggi. Cfr. No eroics, please p. 226/7).

 

2. Raccontare ciò che si conosce

Letteratura per Carver significava questo: raccontare ciò che si conosce bene, nella forma più semplice possibile. E ha certamente dimostrato che non c’è bisogno di allontanarsi molto dalle proprie esperienze, dalle mura di casa propria o del proprio bar o posto di lavoro, per raccontare storie che colpiscano il lettore nel profondo. Gli bastava guardarsi attorno, per trovare la fonte che avrebbe ispirato tutti i suoi racconti, prendere un piccolo pezzo della propria vita, un altro di quella del suo compagno di lavoro o del suo vicino di casa e tutto era pronto.

 

3. Accuracy of statemen (accuratezza di espressione…)

Carver era non un «minimalista», ma un «purista» e anzi che il suo «mondo interiore» era, al contrario, «massimalista». Altri lo definiscono un «precisionista». E quest’ultima pare la definizione più pertinente. La precisione del dettaglio, eliminando ogni approssimazione, è usata per stabilire una realtà e rendere reali le emozioni, non per dipingere una situazione astratta, rarefatta o sentimentale.

Lo stesso scrittore ne dà la spiegazione alla luce di un’affermazione di Maupassant: «Non c’è ferro che possa trafiggere il cuore con più forza di un punto messo al punto giusto». Carver rimase colpito da questa frase come per la forza di una rivelazione, perché è ciò che intende fare nei suoi racconti: Carver: «mettere in fila le parole giuste, le immagini precise, ma anche la punteggiatura più efficace e corretta, in modo che il lettore venisse trascinato dentro e coinvolto nella storia, e non potesse distogliere lo sguardo dal testo a meno che non gli andasse a fuoco la casa».

 

Carver, in realtà, era naturalmente un «contemplativo», un contemplativo delle cose e delle azioni. La sua attenzione era naturalmente portata a concentrarsi su eventi minimi e quotidiani ed era in grado di produrre delle sintesi folgoranti che sono proprie più della poesia che della prosa. Carver condivideva il principio di un altro grande scrittore americano, a cui dedica una poesia, William Carlos Williams: «niente idee se non nelle cose». E questo fino al fermo immagine.

Es. Voi non sapete cos’è l’amore (p. 174)

Così, ad esempio scrisse in Questa mattina: (Blu Oltremare, 13)

Questo sguardo fisso e commosso, capace di cogliere l’essenziale nelle cose, guardate con acutezza e precisione è la radice dell’ispirazione di Carver.

 

3. Dalla storia le immagini

* Sintassi non lessico

Carver non andava alla ricerca della bella frase a effetto. La sua espressione è quieta, tranquilla e così comunica il senso della realtà e va al cuore delle cose.

* Storie non immagini

Egli nega inoltre che la sua sia una sorta di poetica dell’immagine: «Non sento di porre, come qualcuno mi ha detto, di centrare le mie poesie o le mie storie su un’immagine. L’immagine emerge dalla storia, non al contrario».

* La storia è al centro di tutto.

Da questa emergono le immagini dipinte a tratti secchi con parole essenziali. Ciò che resta sono proprio le immagini.

 

4. Understatement of emotion

Nella poesia Carver si sentiva più vulnerabile: i racconti gli permettevano una maggiore distanza, mentre la poesia non gli concedeva questo spazio. E soprattutto nella poesia non ebbe il problema dell’editing forzato di Gordon Lish, che storpiò i suoi racconti, rendendoli secchi e freddi, privi di quella tenderness, di quella «tenerezza» cioè, per Carver così importante.

Quando Carver ottenne un dottorato honoris causa in Lettere dall’Università di Hartford pronunziò un discorso che prendeva le mosse da un pensiero «limpido e bellissimo» di santa Teresa, da lui definita «donna straordinaria»: «Le parole muovono ai fatti… Preparano l’anima, la rendono pronta e la portano alla tenerezza». La frase che Carver cita è tratta dal capitolo XXV della Vita scritta da se stessa. Tess Gallagher ha notato che quel «muovere» ha il valore di «commuovere» e tale espressione era «una parola chiave nelle ambizioni di Ray come scrittore.

 

Ma questo massimalismo dell’espressione è reso attraverso una sentimentalità ordinaria e non «sublime».

Cfr Una pacchia, in Il nuovo sentiero per la cascata (227)

Cfr Attesa, in Blu oltremare (204)

 

Le poesie di Carver restituiscono emozioni non in forma pura e distillata, ma attraverso brevi schizzi che tratteggiano piccole situazioni, ricordi, gesti, brevi dialoghi. Si può parlare correttamente di emozionalità nel testo carveriano se si considera quello che, come si è visto, è stato definito come «understatement of emotion», il fatto insomma che l’emozione sia espressa sempre con riserbo, quasi sottotono.

C’è differenza del resto, afferma Carver, tra «sentimento» e «sentimentalismo». Egli si dichiara interessato alle relazioni personali e profonde nella letteratura, come lo è in quelle che si sperimentano nella vita. Il motivo? Queste esperienze «sono, dopo tutto, qualcosa che noi tutti condividiamo come lettori, scrittori ed esseri umani». È forse proprio l’universalità della vita emozionale che plasma sottotono l’emozione, privandola dei suoi connotati troppo soggettivisticamente esaltati.

 

Questo però non significa che la poesia non sia «ardente». Carver intendeva scrivere dei versi che avessero «del fuoco al centro» e dunque da «maneggiare con i guanti».

Cfr. The pipe, in Racconti in forma di poesia (134)

 

Del resto, Carver ha voluto che sulla sua tomba ci fosse scritto: «Poeta, scrittore di racconti e, occasionalmente, saggista». In quest’ordine.

 

 

5. Matter of life and death

La poesia per Carver è questione di vita e di morte: «Mi interessa la poesia che parla di grandi questioni, questioni di vita e di morte, sì, e la questione di come stare al mondo».

Così l’Ultimo frammento, in Il nuovo sentiero per la cascata (234)

Questo frammento è anche l’epitaffio sulla tomba di Carver e sembra riassumere il senso della sua opera per la pacata densità. L’uomo è compresso in situazioni di non-amore: incomunicabilità, vuoto, piccole e grandi tragedie quotidiane. Le sue piccole paure sono riflesso della sua estrema fragilità, di una radicale paura della morte che evoca tenerezza e fa comprendere il radicale bisogno di «sentirsi amati sulla terra». Questo frammento, nella sua semplicità, ha la forza di una spada, perché è capace di giungere al cuore delle domande di una vita che tenta un bilancio.

 

@ Antonio Spadaro, 2005