in Avvenire, 8 gennaio 2002

LETTERATURA Due diverse interpretazioni critiche rivalutano la visione spirituale dello scrittore americano

Le storie di Carver conquistano anche i teologi

di Alessandro Zaccuri

 

Ma di che cosa parliamo veramente quando parliamo di letteratura? Fosse stato per lui, probabilmente, Raymond Carver avrebbe lasciato la domanda così, senza risposta. Ma il compito della critica è appunto quello di formulare, se non altro, un'ipotesi di soluzione a interrogativi di questo tipo. Ed ecco quindi che non una, ma due interpretazioni critiche - indipendenti l'una dall'altra e proprio per questo tanto più suggestive - suggeriscono di rileggere l'opera di Carver nella prospettiva della ricerca religiosa o, meglio, della riflessione teologica.

Fatte le debite distinzioni, è questa l'ipotesi che accomuna il volume che padre Antonio Spadaro, critico della «Civiltà cattolica», ha appena pubblicato nella collana «Tracce del sacro» delle padovane Edizioni Messaggero (Carver. Un'acuta sensazione di attesa, pagine 112, euro 9,50) e "Le storie d'amore di Raymond Carver", il saggio di Javier Aranguren Echevarría, docente presso l'Istituto di Antopologia ed Etica presso l'Università di Navarra, ospitato sul più recente fascicolo della rivista «Studi cattolici». Senza dimenticare che la romana Minimum Fax, proseguendo nella puntuale riproposta di tutta l'opera di Carver, ha da poco riportato in libreria, nella nuova traduzione di Riccardo Duranti, Di cosa parliamo quando parliamo d'amore (pagine 154, euro 11,36), la raccolta di racconti che nel 1981 segnò la definitiva affermazione dello scrittore americano.

Morto nel 1988, all'età di cinquant'anni, Carver è un autore tutt'altro che rassicurante. Le sue storie - ma anche le sue poesie, sulle quali giustamente si sofferma l'attenta analisi di Spadaro - non risparmiano al lettore situazioni dure e sgradevoli, sulle quali pare incombere l'irremediabile e meschina malvagità di un mondo senza più speranze. Negli anni Ottanta il nome di Carver fu spesso abbinato a quello dei cosiddetti «minimalisti» (il più dotato del gruppo, Jay McInerney, fu in effetti suo allievo di creative wiriting), rispetto ai quali però l'autore di Cattedrale e Vuoi star zitta, per favore? dimostrava non soltanto una più robusta concezione della letteratura, ma anche una diversa e risentita indole di moralista.

Per accorgersene basta rileggere alcune delle storie comprese in Di cosa parliamo quando parliamo d'amore, libro che negli anni scorsi è stato al centro di una accesa controversia filologica in seguito alla scoperta della radicale manipolazione alla quale l'editor di Carver, Gordon Lish, aveva sottoposto i manoscritti originali. Il caso più emblematico - esaminato sia da Spadaro sia da Echevarría - è quello del racconto "Il bagno", poi riproposto da Carver in una stesura più ampia e più vicina alle sue intenzioni con il titolo "Una piccola, buona cosa". Un testo che, già nel 1985, è stato letto in chiave cristiana e cristologica da un autorevole critico statunitense, W.L. Stull, sicuro di riconoscere nelle due diverse redazioni del racconto allusioni inconfutabili ai sacramenti del Battesimo e dell'Eucarestia. Una pista che Spadaro segue con intelligenza nel suo libro, allineando una serie di altri indizi (si pensi, per esempio, all'ammirazione di Carver per gli scritti di santa Teresa d'Avila) che aiutano a comprendere meglio la risposta data allo scrittore a un giornalista che lo interrogava a proposito della sua fede: «Non sono religioso - aveva detto -, ma devo credere nei miracoli e nella possibilità di risurrezione. Non ho dubbi su questo».

Anche Echevarría, del resto, ammette senza esitazioni le asperità di cui è costellata la pagina di Carver, ma aggiunge subito dopo che lo sguardo dello scrittore «al fondo conserva una luce di speranza». Un'affermazione sostenuta dalla lettura incrociata de "Il bagno" e "Una piccola, buona cosa", appunto, e che mira a dimostrare come le lacerate «storie d'amore» di Carver nascondano una severa denuncia dell'irragionevolezza del disamore. Un autore «teologico», dunque, in perfetta sintonia con l'intuizione che ha guidato il regista Robert Altman nella realizzazione di America oggi, il film del 1993 ispirato ai racconti di Carver e di cui Tommaso Avati si occupa nell'interessante saggio ospitato in appendice al volume di Spadaro.

 

Alessandro Zaccuri